Non esiste alcun primato di pensiero sul concetto di turismo in cui il fulcro è la comunità. In questo spazio sono presenti esclusivamente opinioni, idee e proposte di ragionamento, e tante domande a cui provare a dare risposta.
La locuzione Turismo di comunità non è nuova né tantomeno l’argomento è inesplorato. In Italia sono note le esperienze dei Briganti di Cerreto, meritorie di importanti riconoscimenti, e di numerose cooperative di comunità. Esistono diverse definizioni, e non se ne vuole certo aggiungere un’altra.
Al contrario delle esperienze richiamate, che sono caratterizzate soprattutto dalla centralità del rapporto abitante/territorio, qui si pone maggiore attenzione al ruolo strategico che le pubbliche amministrazioni possono avere in un processo di sviluppo turistico DELLA comunità/CON la comunità/PER la comunità. In questo senso, il turismo di comunità è ancora in fase pionieristica.
Queste pagine vogliono dare un contributo di riflessione, tra l’altro, sull’opportunità e l’importanza di intraprendere un proprio percorso di crescita, ragionando sui legami che possono instaurarsi tra popolazione e turisti/visitatori, anche in un’ottica di lotta allo spopolamento dei piccoli centri.
Uno sviluppo territoriale del genere non può, per sua natura, essere figlio di un percorso standardizzato preconfezionato, ma può avere origine solo da un cammino tutto in divenire in cui la creatività e il fattore umano hanno un ruolo primario.
Quale importanza ha la popolazione nel turismo del futuro?
Partendo da questa domanda, pensando allo sviluppo del territorio, qualunque sia la risposta che si vuol dare, non si può prescindere dal fatto che in un determinato luogo vivono, lavorano e si relazionano persone. Questo significa che, volente o nolente, chi intende fare qualcosa per sviluppare un’area, più o meno vasta, deve tenere in considerazione la popolazione che la vive, organizzata in famiglie, associazioni, gruppi di interesse, ecc.
Ma in che misura e in che modo la popolazione va tenuta in conto?
La sfida è ragionare sul coinvolgimento attivo della comunità nel percorso di sviluppo (non solo turistico) soprattutto nelle realtà medio/piccole dove le condizioni sono maggiormente favorevoli ad un approccio del genere e dove le strade del turismo tradizionale di massa non sono percorribili né tanto meno auspicabili.
E’ proprio nei piccoli centri che il turista, in un meccanismo virtuoso e coinvolgente, potrebbe addirittura trasformarsi in cittadino, in controtendenza con lo spopolamento che affligge la maggior parte dei piccoli centri. Il ripopolamento dei paesi con meno di 5000 abitanti è stato uno degli obiettivi di tanti interventi passati e lo è ancor di più oggi nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Qualsiasi piano di sviluppo del territorio, per quanto possa giovare alle imprese locali(turistiche e non), quando non ha significative ricadute sul tessuto sociale ed occupazionale è un fallimento dal punto di vista della collettività.
E si, se un piano definito di sviluppo territoriale non giova, o giova solo in piccola parte alla comunità, qualcosa non ha funzionato.
Nei tempi in cui tutto è cambiato per colpa del covid, o grazie al covid pensando ai piccoli centri, anche il turismo si è trasformato. E’ brutta dirla così, ma la pandemia ha rappresentato per i borghi periferici e di dimensioni ridotte un’opportunità di crescita. E questo non è merito della tecnologia in genere o dell’intelligenza artificiale sempre più presente, ma il cambiamento è avvenuto nella testa delle persone e nei loro comportamenti e processi decisionali.
Come sempre è il fattore umano a governare i cambiamenti epocali. Oggi siamo di fronte ad uno di questi momenti.
Nessuno può permettersi di sottovalutare questa opportunità
Vivere il territorio
Le varie definizioni di turismo di comunità, declinate con diverse sfumature ma riconducibili ai concetti di sostenibilità, condivisione, ricadute economiche diffuse e valorizzazione delle caratteristiche locali, possono rappresentare un punto di partenza per progetti di sviluppo diversi dai soliti schemi.
Ma poi, ogni comunità deve inventare il proprio percorso, più originale e interessante possibile agli occhi di sé stessa e del mondo esterno. Deve essere stilista, sarta e indossatrice: deve ideare il suo cammino di crescita, cucirselo addosso, fare le dovute correzioni in corso d’opera e presentarlo al pubblico. Considerando il cambiamento di atteggiamento in epoca covid e postcovid, e gli obiettivi di ripopolamento dei piccoli centri (richiamati anche dal PNRR) adesso è il momento giusto per fare un balzo in avanti di questo genere. E’ l’ora di costruire e promuovere una strategia di sviluppo territoriale in cui è la partecipazione attiva della popolazione ad essere posta al centro e dove le ricadute sociali di un piano di marketing turistico vengono prima della crescita delle attività settoriali tout court (che verrà di conseguenza).
Chi si occupa di promozione territoriale ha riempito le sale, le brochure e le relazioni programmatiche di termini come narrare, narrazione e simili, declinati anche all’intrattenimento dei turisti, spesso non pensando al concetto insito in quei termini: uno parla e l’altro ascolta, a volte sbadigliando. E come ogni moda (finalmente, per alcuni) la “narrazione del territorio” già da un po’ è stata affiancata dal termine turismo esperienziale, un concetto senza dubbio più dinamico e interattivo. Poi ultimamente si è iniziato a parlare di turismo trasformativo, e ancor prima già si parlava di turismo responsabile, di turismo così, di turismo colà, di turismo del babà (a Napoli lo abbiamo praticato con grande successo alla fine dello scorso secolo con un manipolo di visionari nell’epoca del turismo e basta, senza nessun aggettivo qualificativo).
Parafrasando le definizioni ufficiali dell’Organizzazione Mondiale del turismo (UNWTO), questo termine, con o senza aggettivo, significa (a spanna) flusso di persone verso una meta geografica diversa da quella di residenza, che apportano ricchezza sul territorio che le ospita. Ovviamente negli incontri di approfondimento e confronto che si propongono, questi aspetti saranno trattati con attenzione.
Tornando all’argomento, se ci si astrae dalle varie declinazioni del turismo (ognuna delle quali ha essa stessa diverse definizioni dietro le quali ci si può facilmente perdere) e si va al nocciolo e si sintetizza, il successo di una strategia di sviluppo territoriale si misura su quanti visitatori raggiungono quel territorio per viverci parte del loro tempo e su quanta ricchezza apportano. Chiaramente questa appare, ed è, una semplificazione dozzinale, sono tanti gli indicatori in gioco, ma sapere quante persone arrivano e quanto spendono è fondamentale.
E visto che questa ricchezza ricade sulla comunità, è giusto fare ogni sforzo affinché questa comprenda l’importanza del turismo e soprattutto il potenziale effetto moltiplicatore che la partecipazione attiva della popolazione può avere sui modi in cui quella ricchezza può essere distribuita ed aumentare.
Turista e cittadino vivono entrambi il territorio, l’uno per poco tempo, l’altro stabilmente; si deve lavorare per favorirne i legami al punto da creare un sentimento di appartenenza, anticamera per una stabilizzazione del soggiorno.
Un’accoglienza speciale può trasformare un turista in cittadino
Turista e cittadino: due protagonisti dello stesso film
Se quindi si deve parlare di vivere il territorio, questa locuzione acquista un significato profondo accostata al concetto di turismo di comunità anche dal punto di vista della ricchezza (non solo economica). Al turista si deve offrire la possibilità di scoprire il territorio in tutti i suoi aspetti, soprattutto quelli più tradizionali ed autentici, coinvolgendolo anche nella vita reale della località, creando così uno scambio culturale che arricchisce reciprocamente.
Dalla parte degli abitanti, il concetto di turismo di comunità acquisisce una doppia valenza: – da un lato, la popolazione è tanto più coinvolta quanto più il turista è incentivato a vivere il territorio nella sua pienezza – dall’altro, i cittadini devono essere messi in grado di poter conoscere, in maniera più o meno approfondita, tutto ciò che riguarda l’offerta turistica e le proposte accessorie e, se vogliono, devono poter divenire corresponsabili della promozione territoriale, arrivando ad essere compartecipi della stessa, dalla fase progettuale a quella esecutiva. I migliori promotori di una destinazione, in quest’ottica, possono essere i residenti.
Il ruolo della popolazione che da sempre, volontariamente o involontariamente, influisce sulla percezione di qualità dell’offerta turistica, in questi anni incide sempre più nei giudizi di gradimento dei viaggiatori. Ce lo dice l’osservazione delle recensioni in rete nelle quali i frequentatori dei piccoli centri si soffermano e apprezzano tutti quegli elementi di autenticità dei luoghi, in primis il rapporto con i residenti e il grado di accoglienza sincera e spontanea.
E quindi, che fare per far giungere turisti in una località coinvolgendo il più possibile i residenti?
Come nei film, le trame sono tante ma, in un piccolo centro per avviarsi a costruire un’offerta turistica di cui la comunità sia protagonista, si devono compiere dei passi irrinunciabili. Poi, come abbiamo detto, il cammino è tutto da costruire. Il primo passo da compiere è favorire lo sviluppo di una mentalità nuova che porti alla consapevolezza dei vantaggi di uno sviluppo territoriale condiviso e diffuso. Poi, attraverso strumenti che potremmo definire laboratori di idee e patti di comunità, si potrà iniziare un percorso per la costruzione di un vero e proprio villaggio turistico di comunità tutto da inventare.